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Sono un sognatore perché oggi, fare gli artisti in Italia significa questo.

Se penso a come girano le cose in Italia… posso dirti cosa mi viene in mente?

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“È vero, sono un sognatore perché oggi, fare gli artisti in Italia significa questo. E credo che le esperienze video creative fatte negli anni, mi abbiano fatto diventare sognatore “broadcast”; termine che Wikipedia definisce come trasmissione di informazioni da un sistema trasmittente a un insieme di sistemi riceventi non definiti a priori.”

Così si definisce Carlo Isola, artista a tutto tondo, e scenografo che ha deciso di sconfinare nella sperimentazione adoperando mezzi elettronico-digitali.
“La scenografia mi ha insegnato tanto, ma anche quando studiavo in Accademia, mi resi subito conto che le tecnologie avrebbero rivoluzionato il modo di intendere non solo la scena teatrale o cinematografica, ma anche la pittura, la scultura, la musica e ogni forma d’arte. Ho studiato scenografia per sperimentare tutto quello che ruotava intorno al mondo dello spettacolo, ma negli anni ho sentito la necessità di sperimentare anche altre forme artistiche.”

Dunque oltre che pittore e scenografo sei stato attore, regista e sceneggiatore?
“È avvenuto nel periodo in cui si affacciavano i primi video-tape in bianco e nero e quindi, alla fine degli anni ’70, cominciai ad adoperarli, sperimentando la video creazione, le video installazioni e le scene teatrali elettroniche, poi, con l’avvento del digitale e dei computer, la ricerca divenne scientifica.
Ho sempre pensato che gli artisti abbiano diritto di recuperare il privilegio, ormai negato, di dialogare con la scienza. Negare quel privilegio all’artista è un po’ come lobotomizzarlo.”

Ti riferisci al Rinascimento e ai progetti di Leonardo?
“Credo che già nel 1200 gli artisti contribuissero a creare i presupposti delle scoperte rinascimentali, i pittori e gli scultori erano costretti a occuparsi di chimica, fisica e architettura.”

E oggi?
“Se penso a come girano le cose in Italia… posso dirti cosa mi viene in mente?”

Vai!
“Mi piace osservare la cupola del duomo (Santa Maria del Fiore, Firenze ndr) dal punto in cui finisce via de’ Servi, ci vado spesso per ammirare dal basso le sue centine che Brunelleschi, durante i lavori, tracciò più volte a misura reale sulle sabbie di Santa Rosa.

Ogni volta che guardo quell’opera colossale, mi sorprendo e sento la necessità di capire perché quell’uomo abbia messo in gioco la sua reputazione, impegolandosi in un’impresa di cui non aveva la certezza del risultato. E mi sorprende forse di più la logica degli investimenti che, a quel tempo, ruotavano intorno all’arte e alla scelta della qualità; si costruiva per comunicare non solo con i popoli contemporanei, ma anche con quelli futuri. Per merito di quelle persone, l’immenso patrimonio artistico italiano è diventato la nostra risorsa, il nostro petrolio… che però abbiamo smesso di estrarre, nonostante sia evidente che la cultura ereditata ci abbia resi unici nel mondo, non solo per l’arte antica, ma anche per il design moderno dei nostri prodotti industriali che non avrebbero avuto un così grande merito, se non fossero esistiti gli artisti della nostra storia e se non ci fosse stato chi in passato avesse investito su un futuro non solo suo ma anche dei posteri.”

Dunque oggi stiamo perdendo ricchezza togliendo valore allʼarte?
“Purtroppo, svalutando la cultura e la creatività! Anche Einstein non avrebbe formulato la sua teoria se non si fosse affidato al genio creativo, ma non è solo una questione di ricchezza intesa come economia, non si dà più valore al futuro, si investe solo per interessi immediati e personali e così si vive solo del passato.”

Ma tu, come fai a vivere facendo l’artista?
“Bella domanda! A questo punto posso solo dire di essere un artista sperimentatore che purtroppo non ha la dote dell’imprenditore o del manager di sé stesso e così sono un eterno emergente che progetta di tutto, anche ciò che non potrà mai essere realizzato.
Adopero qualunque mezzo utile alla “pesca delle percezioni”, quelle senza forma e senza nome e quando le intercetto, mi impegno a non perderle di vista, come quando in barca cade un uomo in mare.”

E quelle percezioni senza nome, quando diventano opera per te?
“Quando si trova la chiave poetica, la poesia è un decodificatore potente. Mi ha colpito molto la spiegazione di Gianni Toti di un verso di Pedro Solinas, che nel video “Planet Toti” di Sandra Lischi, commenta dicendo che solo la poesia riesce a dare il vero nome alle cose, le altre denominazioni appartengono solo a una specificazione di servizio. La poesia innesca la trasmissione del pensiero neutralizzando il tempo, la poesia è l’elemento fondamentale che riesce a farti essere ciò che fai e ti fa dire “Io sono quello”.

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