Era il 27 agosto del 1965 quando una delle maggiori personalità del XX secolo moriva per annegamento all’età di 78 anni: Charles-Edouard Jeanneret, meglio conosciuto come Le Corbusier. Un personaggio ingombrante, nel bene e nel male, che ha modificato il modo di fare, percepire e vivere l’architettura. Personalità singolare ed eclettica, che sembra quasi riduttivo definire “semplicemente” un architetto e di cui anche i non addetti ai lavori hanno sentito parlare almeno una volta nella vita. Egli fu architetto, teorico, animatore del CIAM e seppe, come ben sottolineato da Olivier Boissière nella monografia del 2001 dedicata a Le Corbusier, “turbare” i suoi contemporanei. Ebbe la capacità di rivoluzionare il mondo dell’architettura ponendosi come architetto moderno “ad un tempo all’interno e all’esterno della cultura [a lui] contemporanea” (Vittorio Franchetti Pardo).
Così in occasione dei 50 anni dalla sua morte ci piace ricordare questa grande e contraddittoria figura con un’opera forse meno conosciuta, ma non per questo meno interessante: il Cabanon a Roquebrune-Cap-Martin in Francia.
Il Cabanon, che l’architetto soleva definire come il suo “castello”, protetto all’esterno da un carrubo, è un gioiello di efficacia compositiva abbarbicato sulle rocce, che racchiude in soli 14 metri quadrati - la misura che Le Corbusier reputava sufficiente per un uomo per essere felice - geometrie ed equilibri millimetrici.
È lo stesso Le Corbusier che racconta la nascita suo Cabanon: “Il 30 dicembre 1951, sull’angolo di un tavolo di un piccolo caffè della Costa Azzurra, ho disegnato, per fare un regalo a mia moglie per il suo compleanno, il progetto di un ‘capanno’ che costruii l’anno seguente in cima a una roccia battuta dai flutti. Tale progetto è stato fatto in tre quarti d’ora”.
L’ambiente vero e proprio del capanno è introdotto da un corridoio di passaggio (di circa 2 metri quadri) decorato da un lato con un dipinto dedicato al tema marittimo. Il corridoio termina con un attaccapanni che svolge fra le altre cose funzione divisoria con l’area del gabinetto (70x86 cm).
Proseguendo si accede all’area di soggiorno (366 x 366 cm, per 226 cm di altezza), in cui sono presenti un tavolo da lavoro (unico elemento che non ricorre a forme ortogonali elementari), il letto, gli adeguati arredi per custodire gli indumenti e un lavandino.
Lo spazio è concepito in maniera estremamente funzionale e in esso è facile scorgere il modulor, ma fortemente percepibile è l’idea di porre accanto all’utile, quell’inutile indispensabile, in una perfetta coesistenza fra parti funzionali e parti estetiche.
Due feritoie sono dedicate alla ventilazione, mentre altrettante finestre sono deputate all’illuminazione e sono provviste di due antine, di cui una munita di uno specchio, che con la sua azione riflettente a seconda della posizione crea effetti luministici all’interno, ma permette anche di amplificare la visuale esterna.
Un altro elemento che gioca un ruolo fondamentale infatti è proprio il rapporto fra interno ed esterno, dove come esterno è inteso sia lo spazio ombreggiato all’aperto subito fuori il Cabanon, concepito come normale prolungamento della realtà interna, ma anche le altre unità che erano state progettate da Le Corbusier come spazi comuni. Infatti nel 1954 l’architetto aveva pensato, senza però poterle realizzare, per Robert Rebutato, proprietario del contiguo caffè Étoile de Mer, altre cinque unità cosiddette “di Campeggio”: cucina, pranzo, lavanderia, bar e foresteria, che avrebbero dovuto costituire servizi non privati, ma comuni in assoluta coerenza con il suo pensiero architettonico.
È l’armonia capace di equilibrare le diverse funzioni che regna sovrana nel progetto del Cabanon, progetto che è stato riconsiderato e portato alla conoscenza del grande pubblico italiano anche grazie a una mostra del 2006 tenutase in Triennale a Milano a cura di Filippo Alison.
L’amore di Le Corbusier per questo luogo fu tale che durante un intervista nell’agosto del 1952 a Brassai affermò in maniera quasi profetica: “Mi trovo così bene nel mio Cabanon che probabilmente finirò la vita qui” e per tale motivo che abbiamo ritenuto di dover dedicare al Cabanon questo articolo in un anniversario così significativo.
Ilaria Rossi