
Ha scritto Gillo Dorfles in un suo saggio che “l’incontro di fantasia e di controllo […] può spiegare la base fondamentale dell’arte e della personalità di Joan Miró”. Trasgressivo, anticonformista e selvaggio, l’artista catalano per tutta la vita ha affiancato alla sua anima più contemplativa una poetica unica tra sogno e colore, così da sfuggire alla banalità e al convenzionalismo, dando vita a un linguaggio artistico universale ma allo stesso tempo unico e personale. La mostra MIRÓ! Sogno e colore – che apre a Palazzo Albergati l’11 aprile – vuole raccontare il codice artistico del genio spagnolo: una rassegna esaustiva della sua opera che lasciò un segno inconfondibile nell’ambito delle avanguardie europee. 130 Opere tra cui 100 olii di sorprendente bellezza e di grande formato raccontano a Bologna la sua storia che si intreccia con quella variopinta e fascinosa dell’isola di Maiorca dove Miró visse dal 1956 fino alla morte nel 1983. Qui concretizzò il suo grande desiderio, ovvero di poter creare in un ampio spazio tutto suo, uno studio dove lavorare protetto dal silenzio e dalla pace che solo la natura poteva offrirgli.
E da dopo la sua morte, proprio a Maiorca, la Fondazione Pilar i Joan Miró – da dove provengono tutte le opere in mostra – custodisce una collezione donata dall’artista e da sua moglie che conta 5000 pezzi e che conserva ancora (nel bianco edificio inondato di luce sospeso nel verde che era il suo studio) pennelli, tavolozze e attrezzi del mestiere rimasti lì dal giorno in cui è morto, come lui li aveva lasciati. Lo studio – che Miró aveva tanto desiderato – è ricostruito scenograficamente all’interno degli spazi di Palazzo Albergati.
Sogno e colore di Miró, la sua interiorità e il modo di pensare, il profondo attaccamento alle sue radici e identità, la continua ricerca di novità: queste le chiavi per comprendere capolavori come Femme au clair de lune (1966), Oiseaux (1973) e Femme dans la rue (1973) oltre a schizzi – tra cui quello per la decorazione murale per la Harkness Commons-Harvard University – tutti provenienti da Palma di Maiorca, tutti esposti a Bologna per raccontare la sperimentazione ricercata da Miró all’interno delle principali correnti artistiche del ventesimo secolo come il Dadaismo, il Surrealismo e l’Espressionismo.
Il percorso, cronologico e tematico allo stesso tempo, presenta la produzione degli ultimi trent’anni della vita di Miró: un periodo indissolubilmente legato alla “sua” isola dove, negli anni Sessanta e Settanta, si dedica a temi prediletti come donne, paesaggi e uccelli accanto a paesaggi monocromi e ai lavori – quelli degli ultimi anni – fatti con le dita, stendendo il colore con i pugni mentre si cimentava nella pittura materica, spalmando gli impasti su compensato, cartone e materiali di riciclo; e ancora le sculture, frutto delle sperimentazioni che fece con diversi materiali, collage, “dipinti-oggetto” che col passare degli anni traggono ispirazione da ciò che l’artista collezionò che altrimenti – come egli stesso scrisse – “sarebbero cose morte, da museo”.
Con il patrocinio del Comune di Bologna, MIRÓ! Sogno e colore apre a Palazzo Albergati di Bologna dall’11 aprile al 17 settembre, è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con la Fondazione Pilar e Joan Miro di Maiorca diretta da Francisco Copado Carralero e vede come curatore scientifico Pilar Baos Rodríguez. La mostra MIRÓ! Sogno e colore è dedicata alla memoria del Maestro Camillo Bersani, recentemente scomparso, artista e scultore bolognese, discreto ed entusiasta allo stesso tempo, il quale ha permesso che Palazzo Albergati – di proprietà della famiglia – diventasse uno dei più importanti luoghi espositivi in Italia. E di questo il Gruppo Arthemisia gliene sarà sempre grato. La mostra vede come sponsor Generali Italia e l’iniziativa rientra nel programma Valore Cultura, il programma avviato nel 2016 da Generali Italia con l’obiettivo di sostenere le migliori iniziative artistiche e culturali per renderle accessibili ad un pubblico sempre più vasto e per promuovere lo sviluppo e la valorizzazione del nostro territorio. La mostra vede come special partner Ricola, sponsor tecnico Trenitalia, hospitality partner Monrif Hotels e media partner Radio Monte Carlo.
La mostra MIRÓ! Sogno e colore prende le mosse dall’idea che l’artista aveva della propria opera: una sorta di monologo interiore e, al tempo stesso, un dialogo con il pubblico. Suddivisa in cinque sezioni, presenta opere ampiamente rappresentative della raccolta della fondazione Pilar & Joan Miró e realizzate durante l’ultimo ciclo creativo dell’artista, quello più dinamico e innovativo seppur meno conosciuto.
Prima sezione: Radici
Miró scelse di vivere a Maiorca, sfondo perfetto per la sua creatività e determinante fonte d’ispirazione fino alla fine dei suoi giorni: l’isola gli offre allo stesso tempo, infatti, poesia e arte popolare; maglifici giochi di luce in un felice contrasto con i paesaggi più aridi della Catalogna; il lusso di poter vivere e lavorare in intimità, immerso in una natura primordiale e nel silenzio. Il profondo legame tra Miró e la natura esercita, insomma, una grande influenza sulla produzione dell’artista e la necessità di rapportarsi a essa diventa il suo epicentro spirituale.
Da questo scaturisce così la passione per la grandiosità delle manifestazioni artistiche delle culture primitive e per la pittura rupestre; la contemplazione dei dipinti preistorici che suggeriscono semplicità e purezza delle linee; i Moai dell’Isola di Pasqua e l’arte pre-colombiana con la loro verticalità e monumentalità;

gli affreschi romanici della Catalogna che gli trasmettono l’idea di astrazione e ricchezza cromatica.
Altro importante riferimento dell’opera mironiana è la figura di Antonio Gaudí, al quale Miró guarda con grandissima ammirazione, considerando l’opera dell’architetto modernista catalano una delle sue fonti di ispirazione.
Un’influenza che si esprime soprattutto nella frammentazione dell’immagine e nella giustapposizione dei colori chiaramente riconoscibile nella creazione artistica dell’artista.
Seconda sezione: Principali influenze artistiche di Miró
Un artista con l’anima di un poeta che proprio nei poeti trova i suoi migliori interlocutori. Per Miró la poesia è impulso emotivo, quel momento visionario – di primaria importanza nel suo lavoro – che collega il cuore e la mente.
Parole, iscrizioni e segni diventano veicoli attraverso i quali esprimere una sorta di accattivante magia che infonde alla sua pittura significati complessi e catene d’associazione. L’artista fa poche distinzioni tra pittura e poesia, i suoi dipinti sono testi visivi la cui sintesi struttura un nuovo tipo di linguaggio.
I decenni conclusivi dell’attività di Miró presentano grandi collegamenti con la pittura astratta americana come l’alterazione del formato delle opere, le modifiche apportate in corso d’opera, l’uso del colore come esplosioni o a gocce irruvidite o diluite.
Al pari della poesia, l’estetica e la filosofia orientali attirano Miró che ne fa fonte d’ispirazione nella sua attività creativa. Nel 1966, in occasione della più grande retrospettiva dedicata all’artista in Giappone, Miró si reca a Tokyo e Kyoto per la prima volta e qui è in grado di sperimentare in prima persona la cultura Zen, il potere delle poesie Haiku e gesti dei maestri calligrafi. In particolare, cattura la sua attenzione la relazione tra semplicità grafica degli ideogrammi, l’intensa meditazione e la preparazione rituale che precedono il gesto.
Terza sezione: Maiorca. Gli ambienti in cui creava
Nei primi anni cinquanta Joan Miró inizia a sentire il bisogno di fissare la sua residenza e di poter realizzare il suo sogno: avere un laboratorio dove poter esercitare il suo lavoro. Fino ad allora, per motivi professionali e anche a causa di eventi storici, l’artista era stato costretto a spostarsi continuamente fino a quando, nel 1956, stabilisce la sua residenza permanente a Maiorca.

L’amico e famoso architetto Josep Lluís Sert progetta, così, il laboratorio Sert che oggi ospita una moltitudine di tele non finite che creano una speciale atmosfera di colori e forme. Proprio in questo studio Miró realizza più di un terzo di tutta la sua produzione artistica: qui si concentrano venti anni di febbrile attività e intensa avventura estetica, sempre aperta all’innovazione e alla sperimentazione tecnica.
Ma nel 1959 Miró si sposta in una tipica e grande casa di campagna maiorchina del Settecento, Son Boter, dove sperimenta la scultura monumentale e dipinge le opere più grandi mantenendo la riservatezza cui teneva particolarmente.
Qui Miró ci trasporta in un mondo nascosto e lontano, un mondo primitivo che evoca le pitture rupestri, prive di composizione. Le figure sono isolate, senza una relazione tra l’una e l’altra, si sovrappongono persino creando fantastici dipinti ibridi. Sono i cosiddetti “mostri”, emozionanti e commoventi nella loro semplicità formale. Accanto a queste anche graffiti, statuette di arte popolare, cartoline, ritagli di giornale, sassi, conchiglie e altro ancora. Tutti sono un possibile punto di partenza, a portata di mano per essere usati durante il processo creativo. Sotto questo aspetto, Miró ci ricorda ancora una volta l’importanza che attribuiva all’anonimato.
“Un gesto profondamente personale è anonimo. L’anonimato apre le porte all’universalità…”
Quarta sezione: La metamorfosi plastica (1956-1981)
Tra il 1955 e il 1959 Miró – anche grazie al grande spazio che ha a disposizione a Son Boter – mette da parte la pittura per dedicarsi quasi esclusivamente alla ceramica, all’incisione e alla litografia. Questa interruzione favorisce una revisione e un rinnovamento del suo linguaggio, sempre alla ricerca di nuove forme d’espressione. Così nel 1959 riprende la pittura intensificando il grado di espressività, prova nuovi media e nuove forme di scrittura.
Alla fine degli anni sessanta, troviamo una tale ricchezza espressiva – tra pittura, disegno, scultura, ceramiche, arazzi e libri illustrati oltre alla grande varietà di procedure e tecniche – che ci avvicina a un Miró che imprime una sferzata radicale al suo stile pittorico. Il risultato è un lavoro pieno di forza e che gode di totale e selvaggia indipendenza e plastica libertà.
Trasgressore, ribelle e anticonformista: un Miró che si confronta coi suoi dipinti degli anni Quaranta e Cinquanta; un Miró che ricerca nei dipinti degli anni Trenta, nell’Espressionismo astratto americano o nell’arte orientale; un Miró che, per raggiungere un nuovo obiettivo, aumenta l’espressività del gesto attraverso la grafica, schizzi, tracce, macchie, collages e chiodi.
Quinta sezione: Vocabolario di forme
Nella fase finale della sua produzione artistica, Miró riduce notevolmente i motivi iconografici per raccontarci invece di un solido universo e le sue stelle, di nude linee femminili e di figure falliche, di personaggi ibridi in opere costellate da teste, occhi e uccelli. L’artista semplifica anche i colori della sua tavolozza tornando a tonalità più austere con una preponderanza crescente del nero.
Il suo vocabolario si riduce a una piccola rosa di argomenti – in cui la natura ha un ruolo primario – e le forme si semplificano in una straordinaria varietà di combinazioni.
Qui si esprime la magia del cosmo, delle stelle e dei pianeti in un firmamento irraggiungibile, immaginato o desiderato. Così il tema degli uccelli è trattato come attributo di libertà, legame tra il nostro mondo e l’universo; la donna – trattata non nella sua pura fisicità – pervade il suo lavoro divenendo fonte di vita, immagine connessa al primitivo e al rituale, agli uccelli, alle stelle o al sole, ma talvolta anche come essere erotico, inquietante o violento.
L’opera di Joan Miró ha aperto la strada a una nuova concezione della pittura basata su un linguaggio visivo, fisico e materico, e su codici pittorici innovativi che portarono un importante cambiamento nella pratica artistica contemporanea, dando una direzione nuova all’arte del XXI secolo e influenzando le generazioni successive di pittori, scultori e incisori in tutto il mondo.