PMagazine

Orbital Reflector

“L’Orbital Reflector è una struttura auto gonfiante lunga circa trenta metri per quasi due metri di larghezza.”

Da ottobre di quest’anno è visibile nel cielo stellato la controversa opera d’arte di Trevor Paglen, Orbital Reflector, un obelisco dalle forme diamantate che riflette la luce del sole tanto da sembrare una stella. “Rendere visibile l’invisibile”, questo è quanto afferma il noto artista americano nel video della sua intervista, riferendosi al significato di quest’opera.

Sopra le nostre teste, ogni giorno, in ogni momento, sono presenti più di 17.000 satelliti artificiali costruiti dall’uomo, che nessuno di noi può vedere. Ecco come l’opera d’arte rivela il suo significato più profondo, ovvero mostrare a tutti noi, a occhio nudo, uno di questi satelliti. D’altronde quest’opera non si discosta affatto dal modus operandi di Paglen, che da sempre si interroga sulla parte materiale dell’internet immateriale, cioè tutto quello che nessuno vede e che in pochi conoscono, il vero volto di quest’era digitale.

L’Orbital Reflector è una struttura auto gonfiante lunga circa trenta metri per quasi due metri di larghezza, composta da un sottile film di mylar rivestito in ossido di titanio, tale da riflettere la luce del sole, che verrà lanciato a bordo del Falcon 9, razzo proprietario di SpaceX, insieme ad altri satelliti utilizzati per differenti scopi. Esso verrà poi liberato a un’altezza di quasi 600 km dalla

superficie terreste (200 km più in alto della Stazione Spaziale Internazionale), completando un’orbita attorno alla Terra ogni 90 minuti circa.

L’assenza di una determinata funzione che lo identifica è un tema già affrontato in numerosi dibattiti, ma il primo pensiero che sorge è decisamente green, quanto durerà? Non durerà per sempre come migliaia di satelliti obsoleti e inattivi che orbitano nello spazio e, non andrà ad aumentare l’ormai vasta quantità di rottami spaziali; la sua orbita è stata calcolata prima del lancio e avrà una durata di tre settimane, oltre le quali verrà attratta verso la superficie disintegrandosi a contatto con l’atmosfera. L’opera di Paglen non è il primo satellite artificiale visibile a occhio nudo ma, furono i satelliti ECHO1 ed ECHO2, i primi lanciati dall’uomo e messi in orbita rispettivamente nel 1960 e 1964, dalla forma sferica di notevoli dimensioni sempre in mylar, a rimanere in orbita per otto e quattro anni. L’unica differenza dall’Orbital Reflector consiste nella loro funzione, cioè quella di rendere possibili le prime comunicazioni con satellite passivo via radio a lunghissime distanze. Ora non ci resta che ammirare il firmamento, e attendere il passaggio di questa nuova stella.

Giorgia Fenati