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Siamo alle soglie dell’estate e la voglia di andare prende un po’ tutti, ognuno secondo le  sue attitudini e disponibilità. Anche una domenica di bagni e sole, distesi sulla sabbia ancora fresca della riviera romagnola, ci procura il sano piacere del corpo che ritrova la natura, si libera e acquista una bella patina di salute e rinnovato vigore. Quelle ore di vacanza tra parentesi, prima di riprendere la routine quotidiana, fanno pregustare la vacanza vera, quando ad agosto le città si spopolano e non resta altro da fare che oziare e cercare di divertirsi.

Alcuni tuttavia temono le vacanze, che li trovano impreparati al cambiamento di ritmo e di abitudini. Quando le giornate sono strettamente strutturate in base al lavoro e agli impegni famigliari il passaggio alla dimensione vacanziera può sembrare un salto nel vuoto.

E ora che faccio? E soprattutto, chi sono? Perché, come ci ha bene insegnato Pirandello nelle sue opere, noi siamo ruoli, e svolgiamo funzioni che ci tolgono spontaneità ma ci danno sicurezza e riconoscimento sociale.

Ci sono persone che si ammalano di vacanza. E si ammalano di disturbi che scompaiono improvvisamente non appena tornano alle loro attività quotidiane. E’ un problema che riguarda soprattutto chi ricopre ruoli di una certa rilevanza, ma in qualche misura può toccare tutti. E ci sono persone che si ammalano al ritorno dalla vacanza, perché non vorrebbero rientrare  più negli schemi costrittivi di cui sopra. Sono state così bene nella dimensione dell’altrove che, novelli Peter Pan, vorrebbero vivere per sempre in vacanza, sull’Isola che non c’è.

Il termine “vacanza” deriva dal latino “vacare”, che vuol dire  essere vuoto, sgombero, libero, non esserci.  Propongo invece di usare la vacanza per “esserci di più”, e trasformare un periodo di libertà dal conosciuto in un’occasione preziosa per ascoltarsi, guardarsi dentro e conoscersi meglio. Questo viaggio interiore fu caldeggiato già nell’antichità con il motto “conosci te stesso” scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi e considerato la vera via per la realizzazione di sé da molti filosofi sia in Occidente che in Oriente.

Il viaggio interiore non ha nulla a che fare con uno sterile ripiegamento su se stessi a guardare il proprio ombelico, ma è la modalità attraverso la quale ogni nostra azione, anche la più semplice, diventa un’esperienza unica, che consolida il nostro senso di noi stessi.

La nostra epoca ci ha dotato di preziosi strumenti tecnologici attraverso i quali possiamo sintonizzarci con il mondo intero, ma che ci distraggono dalla sintonia con il nostro mondo interiore e rischiano di farci perdere l’orientamento per comprendere chi siamo, cosa vogliamo, quali sono i nostri valori di riferimento. La volatilità dei giudizi, delle opinioni che si esprimono in rete è un indice di questa tendenza.

Ma se troveremo il nostro “centro di gravità permanente” da lì partiremo e lì ritorneremo come  si torna a un luogo sicuro, alla nostra casa madre, alla nostra isola che c’è.

Allora essere in ufficio, o in cucina a tagliare le verdure per il minestrone, preparare una relazione o travasare le piante sul balcone, essere in fila all’Ufficio postale, o sulla tangenziale all’ora di punta diventeranno ottime occasioni d’incontro con noi stessi.

Tuttavia la dimensione più adatta e semplice in cui operare questo incontro speciale con la nostra vita interiore è il tempo libero. Magari in un ambiente naturale che incoraggia il rilassamento e la contemplazione.

Ecco le tappe del nostro viaggio da “entronauti”.

La prima tappa consiste nel non catapultarsi a “fare” qualcosa ma dedicare tempo all’”essere”  qualcosa. Accorgerci del nostro respiro, del battito del nostro cuore, dei segnali che ci manda il nostro corpo.

E attivare i sensi. Vedere quello che ci circonda, persone, oggetti, paesaggio, come se fosse la prima volta.

Vediamo nostro marito, moglie, figli, compagni o amici, chiunque sia chi sta condividendo la vita con noi senza il filtro delle abitudini e dei pregiudizi. E se non c’è nessuno va benissimo. Avremo tutto un mondo da guardare con occhi nuovi e curiosi.

La seconda tappa è percepire cosa producono in noi gli stimoli che ci arrivano dal mondo esterno. Quali emozioni, sentimenti sollecitano. Prendiamo atto del bene e soprattutto del male che sentiamo, per potercene curare adeguatamente. Senza che ce ne accorgiamo, di solito siamo bombardati di informazioni, che letteralmente ”digeriamo” senza alcuna selezione.

Usiamo la vacanza per diventare selettivi e decidere cosa ci fa bene e cosa no. Forse alcuni rapporti cambieranno, perchè chi ci sta vicino è abituato a vederci in un certo modo e si aspetta certi comportamenti, ma cambieranno in meglio perchè orientati all’autenticità.  Portiamo attenzione alla qualità dei pensieri che attaversano la nostra mente, e quando sono pensieri negativi, ostili, oppositivi proviamo a lasciarli andare, perchè non ci fanno bene, in una maniera o nell’altra troveranno il modo di guastare le nostre relazioni  con il mondo che ci circonda, e peggioreranno la qualità della nostra vita e di chi ci sta accanto. Un semplice esercizio per rilassare la mente è immaginare che i pensieri siano come nuvole in un cielo sereno. Arrivano, le vediamo, poi se ne vanno. Teniamo pulito il nostro cielo interiore, e ci sentiremo liberi e in pace.

Uno degli elementi corroboranti della vacanza è svolgere attività diverse dalle solite o viaggiare e conoscere luoghi nuovi. La terza tappa del nostro viaggio interiore consiste proprio in questo: lasciare emergere qualche desiderio nuovo. O portare alla luce un talento che abbiamo trascurato per lasciare spazio ad attività ritenute più utili e profittevoli. Come è importante lasciare i bambini  liberi di fantasticare, giocare e sperimentare, perchè sarà proprio da quella libertà che emergeranno le loro inclinazioni e i loro talenti da usare per strutturare la loro vita adulta, così gli adulti hanno necessità di rientrare in contatto con quella parte libera, visionaria e creativa, che viene trascurata, ed è invece fonte di grandi stimoli e belle sorprese. Per fare questo dobbiamo mettere da parte la paura che il tempo non impegnato a fare qualcosa sia tempo perso, inutile. Al contrario è il tempo della gestazione di nuovi progetti e nuove sfide che renderanno la nostra vita varia, interessante e piena di senso.

Se scoprirete che questa pratica dell’attenzione, del respiro e dell’ascolto vi piace, migliora la qualità della vostra vita e dei vostri rapporti, potrete approfondirla attraverso le vie tracciate dalla meditazione. Una valida sintesi che unisce pratica della meditazione orientale e bisogni della nostra civiltà occidentale è la Mindfulness, orientata alla cura e alla promozione del benessere mente-corpo. Ma qualsiasi percorso, insegnato da un buon maestro, va bene.

I percorsi che hanno  maggiormente ispirato la mia vita e il mio lavoro sono stati la meditazione Vipassana con la guida di John Coleman, che mi ha insegnato la responsabilità individuale nello scegliere quali pensieri pensare, quali azioni compiere e come ascoltare la saggezza del corpo, la sua capacità di autoguarigione; e gli insegnamenti del Maestro Dzog Chen Namchai Norbu Rinpoche. In particolare tengo a mente la sua esortazione a non rinchiudersi e isolarsi per meditare. La meditazione deve essere un atteggiamento che portiamo nelle azioni quotidiane, all’inizio con molto impegno, per aprire spazi di silenzio interiore e attenzione cosciente nel flusso frenetico e rumoroso della vita quotidiana.

Se saremo abbastanza costanti, quell’atteggiamento diventerà un nuovo modo di vivere, un diverso equilibrio, e se ogni tanto ce ne dimenticheremo per farci travolgere dalla vita, il che è anche bello e giusto, poi sapremo ritrovarlo e ritrovarci. Perchè  che equilibrio è quello che non ci permette di perderlo ogni tanto, per poi ritrovarlo?

Daniela Faccenda