
Gli scarti industriali, grazie alle loro infinite potenzialità, diventano protagonisti di veri e propri progetti di ricerca all’interno delle scuole.
Gli scarti della lavorazione industriale, di quella artigianale e le giacenze di aziende del territorio bolognese, diventano oggetti nuovi, rivivono una seconda volta sotto diverse sembianze e vengono riutilizzati in senso educativo e creativo. Così ReMida Bologna Terre d’Acqua, Centro di Riuso Creativo dei Materiali di Scarto Aziendale (realtà nata nel 2008, gestita e curata dall’Associazione Funamboli), raccoglie al suo interno ciò che ha finito il suo ciclo vitale, ridandogli una nuova ragione di essere e di avere un ruolo concreto, il tutto attraverso attività educative rivolte a bambini e adulti.
“Gli scarti industriali, grazie alle loro infinite potenzialità, diventano protagonisti di veri e propri progetti di ricerca all’interno delle scuole, dai nidi fino ad arrivare alle superiori…” spiega Carlotta Ferrozzi, responsabile del laboratorio. “Il loro utilizzo in contesti educativi e ricreativi viene analizzato e sviluppato in corsi di formazione per insegnanti e workshop per studenti, artisti, appassionati del riuso creativo”.
I workshop sono tenuti da professionisti, come artisti, artigiani, designer e architetti che, grazie alle loro esperienze e competenze, trasmettono tecniche e spunti attraverso cui riuscire a vedere materia e materiali di scarto sotto nuove prospettive.
“Ogni workshop parte da una base teorica ben precisa” aggiunge ancora “che può essere lo studio dell’impiego di un particolare materiale o l’oggetto finale che si vuole arrivare a realizzare. Se si tratta di un materiale, vengono analizzate le sue caratteristiche, le proprietà fisiche e chimiche, illustrati sistemi di lavorazione, per passare poi con i partecipanti alla manipolazione ed esplorazione dello stesso, per capire come poterlo trasformare o riutilizzare sotto forma di oggetto. Se lo scopo è l’oggetto finale come una seduta o una lampada, questo viene analizzato e descritto considerandone caratteristiche e funzionalità, per poi cercare insieme ai partecipanti i materiali più adatti alla creazione”.
In entrambi i casi risulta fondamentale la fase di progettazione dell’oggetto da realizzare, che, oltre agli aspetti prettamente pratici e squisitamente creativi che intervengono sempre in questi casi, deve tenere conto dei criteri di sostenibilità. “Questi si impongono inevitabilmente, quando si tratta di fare arte e design con scarti aziendali in un centro di riuso creativo come ReMida Bologna Terre d’Acqua”sottolinea Carlotta Ferrozzi. “Parliamo quindi di ridurre al minimo la lavorazione del materiale, per scartarne il meno possibile, utilizzando poca energia; assemblare il materiale senza l’utilizzo di collanti, ma con metodi alternativi meno inquinanti che però non compromettano la futura funzione, la reale utilità e durevolezza, oltre all’estetica dell’oggetto finale”.
I principi fondamentali che animano i workshop alla base dell’intero progetto ReMida Bologna Terre d’Acqua – realtà nata nel 2008, gestita e curata dall’Associazione Funamboli sembrerebbero avveniristici. In realtà sono figli della logica del buon senso: l’educazione degli adulti al non spreco, a riusare ciò che già abbiamo, reinventare utilizzo, funzione e contesti, creando oggetti funzionali e con un potenziale estetico. Ma anche della scoperta del valore della manualità, della creatività presente in ognuno e dell’apprendimento delle tecniche e delle competenze da applicare nella quotidianità. Auspicando ad un ritorno a valori che oggi sembrano fare parte del passato, ma necessari per il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Un ultimo importante aspetto? “In tempi di crisi e di urgenze ambientali, nel concetto etico di sostenibilità potrebbe essere coinvolta anche la sfera dell’economia” conclude Carlotta Ferrozzi.”Nel caso di una vera e propria produzione di oggetti di design realizzati con l’impiego di materiali di scarto, il risparmio sarebbe doppio: dell’azienda che mette a disposizione gli scarti gratuitamente, i quali andrebbero altrimenti inseriti nei rifiuti speciali, con evidenti costi di smaltimento. E dell’azienda o del professionista che produce l’oggetto di design, che si ritroverebbe quasi del tutto abbattuti i costi per il materiale impiegato, restituendo infine un valore anche economico allo scarto, rendendolo anima di una visione ben più ampia”.

