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La sera cenarono sulla terrazza davanti al mare. Era una notte senza luna, cullata dal placido rumore della risacca che accarezzava i ciottoli della spiaggia. Anche il vento era caduto, lasciando solo una leggera brezza calda, che non riusciva a muovere le fronde delle palme.

Erano entrambi un po’ ubriachi, rilassati e romantici. Quella notte avrebbero fatto l’amore per la prima volta, da quando avevano iniziato il loro viaggio, e gustavano l’attesa sfiorandosi le mani e continuando a bere qualche sorso di vino, con lo sguardo posato sull’oscurità dell’orizzonte appena interrotta dalle rare luci dell’isola di Cipro.

“Guarda, Diego Che bei fuochi! Ci sarà la festa del santo patrono laggiù. Sarebbe bello fare una piccola deviazione di qualche giorno e andare a visitare l’isola. Lo so che non era nei nostri progetti ma come possiamo lasciarci sfuggire una visita all’anfiteatro di Pafos e …”.

Ora arrivava anche il brontolio deciso degli scoppi, e Diego si alzò in piedi, facendole segno di tacere.

“C’è un traghetto che parte domattina alle sei, e se ci sbrighiamo…”, continuò lei imperterrita.

Ma fu subito interrotta da un’altra poderosa scarica, mentre le luci del ristorante si spegnevano d’un tratto. I pochi clienti che stavano finendo di cenare ai tavoli vicini, una coppia di francesi attempati e due famiglie inglesi con figli, si avvicinarono a loro, accanto alla balaustra, bisbigliando qualcosa tra preoccupato e incredulo.

Diego le passò un braccio attorno alla vita. “Non mi convince questa storia. A me quelle sembrano cannonate” le disse, continuando a guardare fisso davanti a sé. “Vediamo di saperne di più”.

I camerieri arrivarono portando lampade a petrolio, che lasciarono sui tavoli con gesti sgarbati, atteggiamento insolito per loro, che abitualmente erano fin

troppo cerimoniosi. Uno di loro, interpellato, disse solo, facendo la faccia feroce “Unan caput” e accompagnò le parole con il gesto eloquente di chi taglia una gola.

La frase misteriosa li tormentò tutta la notte, senza che potessero capire ciò che stava accadendo, in assenza di televisori o radio funzionanti, a causa di quello che poi si scoprì essere un coprifuoco.

La mattina seguente, mentre l’albergo si svuotava frettolosamente, arrivarono le prime colonne dell’esercito turco, che si andavano a imbarcare.

Era scoppiata la guerra tra Grecia e Turchia per il possesso dell’isola di Cipro. I turisti erano pregati di fare fagotto e andarsene al più presto, dato che erano solo d’intralcio alle operazioni belliche, nonché un aggravio per gli approvvigionamenti alimentari.

Unan caput, ovvero morte alla Grecia.

Mentre Alba e Diego cercavano affannosamente un passaggio, che per inciso non trovarono né dai turisti motorizzati lì presenti, né dai mezzi locali, per ritornare a Smirne o raggiungere la Siria, nella concitazione di imboccare una via di fuga evitarono per un soffio di essere rapiti da un cargo pakistano, e si trovarono derubati dei loro già scarsi bagagli.

Si dovettero arrendere al fatto che il popolo turco, evidentemente caricato di orgoglio nazionale dall’impresa bellica, era diventato scorbutico, aggressivo e poco fidato, e per Alba, una giovane e bella occidentale, le cose potevano mettersi molto male in quel teatro di soli uomini agguerriti e armati.

A questo si aggiunse la difficoltà di mettersi in contatto telefonico con le famiglie che, ignare, li credevano da tutt’altra parte, ma che dopo giorni di silenzio avrebbero cominciato a darli per dispersi.

Fu l’ambasciata italiana di Istanbul a toglierli dai guai, dopo molti giorni, quando i loro nomi furono resi noti da un campo di raccolta stranieri in cui alla fine erano stati internati, mentre tentavano di uscire dal Paese su un taxi stipato all’inverosimile di commercianti siriani con le loro mercanzie.

Alba avrebbe mantenuto imperitura memoria del soggiorno in quel luogo squallido, un caravanserraglio senza impianti igienici, composto da due stanzoni disadorni, adatti più alle bestie che agli uomini. La divisero da Diego, che stava nella stanza accanto, con gli uomini; la sottoposero subito a un’accurata ispezione, a dir poco molesta, cercando droga fin nei recessi più intimi del suo corpo. Per i poliziotti turchi i giovani occidentali che arrivavano lì avevano un solo scopo, cioè strafarsi di droga o acquistarla per commerciarla in patria. Del resto l’interno della Turchia aveva le coltivazioni di papavero da oppio più estese e legali del Medio Oriente.

Alba provava costantemente il terrore di essere violentata e uccisa, e che Diego fosse ammazzato di botte, con il carattere che si ritrovava. Chi mai sarebbe andato a cercarli fin lì dove non dovevano essere? Sarebbero scomparsi nel nulla, evaporati come non fossero mai esistiti, se non nel ricordo dei loro genitori: paure non così bislacche dopo quello che si venne a sapere sulla fine di alcune turiste inglesi.

Daniela Faccenda

FINE SECONDA PARTE